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Il Suino di razza Sarda

La razza suina Sarda è stata riconosciuta ufficialmente l’8.06.2006 col D.M. n. 21664 (successivamente modificato dal D.M. n. 24089 del 18.12.2006).
Essa viene inserita tra le razze suine autoctone nazionali che finora comprendevano la Cinta Senese, Mora Romagnola, Nero Siciliano, Casertana e Calabrese. Nel decreto vengono riportati i caratteri morfologici specifici per le singole razze suine autoctone, in particolare vengono elencati sia quelli che comportano l’esclusione dal registro anagrafico che quelli di appartenenza alla razza.
Nella seguente tabella vengono riportate le caratteristiche morfologiche distintive per la razza Sarda così come indicate nel quadro C del suddetto decreto.


I caratteri morfologici che comportano l’esclusione dal registro anagrafico sono l’assenza di setole, cute totalmente depigmentata, orecchie diritte, profilo fronto-nasale concavo,mantello striato o agouti, presenza di fascia bianca, anche parziale, sul torace.
L’obbiettivo del riconoscimento della razza è stato raggiunto in seguito agli studi portati avanti dall’Istituto Zootecnico e Caseario per la Sardegna nell’ambito del progetto comunitario INTERREG III dal tema “L’allevamento suino in ambiente Mediterraneo”.
Dalle ricerche storico-bibliografiche e dalle indagini di campo è emerso che l’allevamento suino in Sardegna ha origini antichissime documentate da numerose testimonianze preistoriche e storiche, così come è altrettanto antica la tradizione della lavorazione delle carni suine (Porcu et al., 2004).
L’allevamento del suino in Sardegna si può far risalire alla preistoria a partire dal neolitico antico intorno al VI millennio a.C. (Cherchi Paba, 1974). Tale affermazione è possibile grazie agli studi archeo-zoologici che permettono di stabilire a quale specie appartengano le numerose quantità di ossa di animali, selvatici e domestici, ritrovate durante scavi archeologici effettuati nei vari siti dell’Isola (Wilkens, 2003).
Durante il periodo nuragico (1800-238 a.C.) tale allevamento è ampiamente testimoniato, oltre che dalla grande quantità di ossa rinvenute negli scavi di nuraghi, villaggi e luoghi di culto, anche dalle varie rappresentazioni figurative in statuine bronzee che raffigurano distintamente il maiale domestico e il cinghiale. Durante la dominazione romana, a causa dei tributi (anche in carne di maiale; Meloni, 1990) che la Sardegna era costretta a versare e della presenza nell’Isola di vaste zone ghiandifere, si assistette ad un incremento dell’allevamento suino (Cherchi Paba, 1974).
Per il periodo medievale, intorno al XIV sec., vi sono numerose testimonianze scritte che regolano l’allevamento suino (Codice Rurale di Mariano IV-Giudice di Arborea- e nella “Carta de Logu” della Giudicessa Eleonora D’Arborea). Infatti diversi capitoli del Codice di Mariano IV sono riservati all’allevamento dei maiali: il cap. CXXXVI “De su porchu mannali” riporta il termine col quale tuttora viene indicato il maiale da ingrasso per uso familiare (su mannale); il cap. CXXXVII “Porchus de gamma” (che stavano in branco) elenca le sanzioni alle quali andavano incontro gli allevatori se gli animali sconfinavano nelle vigne o negli orti; il cap. CLIV “De porchos” in cui si fa divieto di introdurre i maiali nei pascoli durante il periodo invernale e nei maggesi. Tali leggi sono state riprese in seguito dalla figlia Eleonora D’Arborea.
Ancora oggi l’allevamento del suino riveste una notevole importanza nella società agro-pastorale dell’Isola. E’ infatti tuttora diffusa l’usanza di allevare in ciascuna famiglia almeno un maiale, definito in Sardo ‘su mannale’, per soddisfare le esigenze familiari con provviste di carne, di salumi e di lardo (Porcu et al, 2005).
Per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche le prime descrizioni del suino Sardo risalgono alla seconda metà del ‘700. In particolare nel 1774 F. Cetti, padre gesuita, naturalista e docente all’Università di Sassari, nel suo trattato “I quadrupedi di Sardegna”, riporta un disegno dell’animale (Fig.1), descrive alcune caratteristiche peculiari della razza suina autoctona della Sardegna tuttora presente in alcune aree del centro Sardegna (Fig. 2). In particolare egli sottolinea la presenza di una coda che “non è torta, come suole, né breve, ed ignuda, ma pende diritta, grossa, lunga oltre al ginocchio, piena di setole e pare la coda di un cavallo…”, il corpo abbondantemente ricoperto di setole, la presenza di una criniera dorsale “…ma sopra il fil della schiena le setole istanno ritte quasi una lamina…”, la presenza del ciuffo lombare e, talvolta, delle tettole, ed un colore del mantello vario.

Fig. 1 - Maiale Sardo

Fig.2 - Scrofa Sarda

Confrontando le descrizioni morfologiche del suino Sardo forniteci dal Cetti con le testimonianze di anziani allevatori (porcari) si può affermare che il suino di razza Sarda è tuttora presente in Sardegna soprattutto nelle zone boschive di alta collina e di montagna del Nuorese e dell’Ogliastra e, in misura minore, anche nel Sassarese, nel Campidano e nel Sarrabus-Gerrei. Il suino autoctono viene allevato al brado o al semibrado e, tale tipologia di allevamento, facilita purtroppo la persistenza del virus della Peste Suina Africana (PSA) rendendone problematica l’eradicazione. L’allevamento brado di montagna viene praticato spesso su terre pubbliche, con minimo ricorso a ripari costituiti da provvidenziali tronchi cavi o da ricoveri (in legno e/o pietra), chiamati arulas (ma anche aurras, barracus ecc.), che precorrono le attuali capannine impiegate negli allevamenti all’aria aperta.
L’alimentazione degli animali è basata principalmente sulle risorse naturali dei boschi di querce e di castagni dove essi pascolano liberamente; l’integrazione è minima ed è costituita comunemente da cereali (sfarinati o in granella) o leguminose, offerti interi in periodi di penuria alimentare. Gli animali che si trovano al pascolo libero vengono abituati dall’allevatore ad accorrere ai suoi richiami, nel punto prestabilito, per la quotidiana somministrazione di cibo, che gli viene direttamente offerto sul terreno o sui bordi delle strade (Porcu et al, 2004).
I dati raccolti durante una indagine condotta sulla popolazione suina in oltre 230 allevamenti hanno comunque consentito di confrontare i parametri riproduttivi e produttivi dei suini riferibili alla razza “Sarda”, con quelli relativi ai suini appartenenti ad altri tipi genetici non autoctoni.
I risultati ottenuti mettono in evidenza che sotto l’aspetto riproduttivo la popolazione suina “Sarda” mostra, rispetto ai genotipi alloctoni: una minore prolificità (nati/parto 7,3±1,0 vs 9,1±1,0); una maggiore e più variabile età al primo accoppiamento (mesi 8,5±2,4 vs 7,8±0,9) dovuta al sistema di allevamento; una maggiore incidenza percentuale delle primipare sulla consistenza di scrofe adulte (primipare/adulte 44%±21 vs 31%±23).
Per quanto riguarda le performances produttive, in base ai dati raccolti, nel suino di razza Sarda risultano inferiori a quella di altri genotipi: minore numero di suinetti prodotti mediamente per scrofa e per anno (14,3±2,2 vs 19,3±3,3); minore percentuale di suinetti macellati rispetto a quelli nati (74% vs 82%), in quanto in montagna è più diffusa la macellazione dei magroni ai fini della produzione di insaccati o prosciutti; necessità di allevare più a lungo i suinetti per macellarli (giorni 46±11 vs 34±6) oppure per svezzarli (giorni 68±16 vs 56±10) ad un peso ottimale (Porcu, 2006).
Il 50 % degli allevatori del suino autoctono tende principalmente ad allevare animali fino all’età adulta per destinarli alla produzione di salumi tradizionali utilizzati per i fabbisogni familiari. Una parte di questa produzione, quella eccedente l’autoconsumo, viene venduta nel mercato locale soprattutto nel periodo di maggiore afflusso turistico. I prodotti della salumeria nelle zone collinari e di pianura sono principalmente rappresentati da salsicce, pancette (arrotolate e non), guanciali e coppe. Nelle zone di montagna è diffusa soprattutto la lavorazione di tagli anatomici interi con produzione di prosciutti di coscia e di spalla, guanciali, pancette e coppe, mentre la produzione di salsicce si effettua impiegando i ritagli di carne residui di queste lavorazioni principali. Altrettanto importante è il consumo dei suinetti, macellati all’età di 35-45 giorni, che rappresenta uno dei piatti tradizionali della cucina tipica sarda.
Nelle zone di allevamento dove è presente il suino autoctono, e in cui maggiormente si sono conservate tradizioni e culture arcaiche, vengono tuttora fabbricati dei prodotti di salumeria artigianali conosciuti solo in ristrettissimi ambiti locali e mai censiti negli atlanti dei prodotti tipici.
Si possono citare in particolare tre tipologie di prodotto: prosciutto tradizionale, prosciutto di spalla con guanciale e sartizza a lorika.
Il prosciutto tradizionale, lavorato a livello familiare, ha una forma particolare (Fig.3) e del tutto simile alle raffigurazioni di alcune monete romane del primo secolo avanti Cristo (Fig.4) mostrate dal Prof. J. Gonzalez Blasco in occasione del “III Congreso Mundial del Jamon” a testimoniare l’origine antica di questo tipo di lavorazione.

Fig. 3 e 4

Attualmente i ricercatori dell’IZCS stanno portando avanti gli studi necessari per la caratterizzazione e la tutela di questo prodotto tradizionale.
Il prosciutto di spalla con guanciale viene fabbricato solo presso poche famiglie dell’entroterra sardo. La sua tecnica di produzione consiste nella sezionatura in un unico pezzo della spalla e del guanciale, che comprende talvolta anche la mandibola. Solitamente il peso fresco varia tra i 4 e i 7 kg , il tempo di salagione è inferiore a quello del prosciutto di coscia in quanto la spalla è caratterizzata da un deposito adiposo inferiore rispetto alla coscia. Anche la durata della stagionatura è inferiore per il prosciutto di spalla rispetto al prosciutto di coscia consentendone un consumo anticipato.
La sartizza a lorika, è conosciuta anche col nome di saltizza a loriga, sardizza a loriga, sartithu a loriga, sartizza longa. Questo prodotto ha dimensioni che possono superare anche i 3 metri di lunghezza con forma spiralata (Porcu et al, 2005) e ricorda le salsicce conosciute con il nome di longaones (Vera, 2004) descritte nel periodo romano.
Attualmente la valorizzazione della razza suina autoctona e dei suoi prodotti presenta due grosse problematiche: la presenza della PSA, di difficile controllo ed eradicazione a causa del tipo di allevamento, e la clandestinità della maggior parte degli allevamenti (per cui al momento risulta difficile stabilire la reale consistenza degli animali appartenenti alla razza autoctona). La lotta attiva per l’eradicazione della peste suina africana è un passo indispensabile e necessario per lo sviluppo economico di tutto il settore suino della Sardegna, così come l’uscita dalla clandestinità degli allevamenti è indispensabile per l’iscrizione degli animali al Registro Anagrafico dell’ANAS.
Per quanto riguarda l’allevamento clandestino, compreso quello su terre pubbliche, sono in corso iniziative volte a sensibilizzare gli allevatori sulle prospettive di sviluppo economico della filiera derivanti dalla regolarizzazione degli allevamenti.
La Regione Sardegna ha emesso un decreto per risolvere questo problema. Questo decreto prevede l’auto-denuncia da parte degli allevatori e il controllo sanitario con esame sierologico di tutti i suini dell’allevamento ai fini di accertare l’eventuale presenza della PSA negli animali. Tuttavia questa iniziativa, pur consentendo la regolarizzazione degli allevamenti, potrebbe mettere in serio pericolo la salvaguardia della razza autoctona.
Infatti la norma prevede che, se al primo controllo viene verificato un caso di sieropositività, e dopo 21 giorni -nel secondo prelievo- viene rilevata la presenza anche di un solo animale sieropositivo, tutti i capi dell’intero allevamento siano obbligatoriamente abbattuti. Questa azione, oltre ad essere rifiutata dagli allevatori, porterebbe alla inevitabile riduzione della consistenza della razza e nel caso estremo alla totale estinzione.
Malgrado tutto, il riconoscimento della razza suina autoctona ha aperto uno spiraglio nel mondo delle campagne: verso la fine del mese di febbraio c.a., nel paese di Orgosolo (NU), sono stati iscritti al Registro Anagrafico dell’ANAS primi allevamenti.
Da interviste fatte ad alcuni allevatori del luogo, presenti durante la fase di marchiatura dei primi suini di razza Sarda da parte del funzionario ANAS, è emersa la loro volontà nel voler regolarizzare i loro allevamenti, nel voler continuare ad allevare i suini di razza autoctona, nel voler rispettare le normative sanitarie vigenti a condizione che venga consentita la libera commercializzazione dei loro prodotti. Gli allevatori erano consapevoli del fatto che tutto questo comportava un maggior controllo da parte delle istituzioni, comprese quelle sanitarie, ma erano disponibili a sottoporsi ai controlli stessi in quanto indispensabili per garantire la tracciabilità dei prodotti tipici della salumeria e del suinetto da latte.
Pertanto, sempre secondo gli allevatori (e non solo), le produzioni derivate dall’allevamento del suino autoctono dovrebbero essere differenziate e rese chiaramente riconoscibili dal consumatore attraverso l’utilizzo di marchi quali ad esempio la DOP. La loro valorizzazione rappresenterebbe un’opportunità di sviluppo per l’economia delle aree rurali interessate da questo tipo di allevamento contrastando l’esodo dalle campagne da parte dei giovani. A tale proposito è necessario “creare una filiera suinicola organizzata” che veda coinvolti tutti gli attori del settore (allevatori, macellatori, trasformatori), operatori che oggi lavorano in maniera disaggregata e individualistica.

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